Scheda descrittiva del sentiero (2) Sirta - Somvalle per la val Fabiòlo
Località di partenza |
Sirta m 224 |
Lunghezza |
4,34 km |
Quota massima |
1086 m |
Dislivello complessivo in salita |
881 m |
Arrivo |
Somvalle |
Acqua sul percorso |
Sirta - fiume Fabiòlo - Somvalle |
Parcheggio libero |
Sirta, presso il ponte sull'Adda - Vedi foto sulla mappa |
Traccia GPS |
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Località principali lungo il percorso (click sulla località per i dettagli) |
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Traccia del sentiero sulla mappa
Descrizione
La partenza è al ponte di Sirta, dove possiamo lasciare l’automobile presso il parcheggio nei pressi dell'incrocio: raggiungiamo la piazza e poco sopra la chiesa di San Giuseppe (m. 289), presso le case alte nella parte destra (occidentale) del paese, troviamo i cartelli segnavia che indicano le partenze dei sue sentieri (seguiremo quindi per la val Fabiòlo). Raggiunte le ultime case, quasi a ridosso del versante montuoso, prendiamo a destra, su sentiero che poi diventa mulattiera (segnavia rosso-bianco-rossi con numero 17), salendo all’ombra del bosco di castagni. Passiamo a destra di una “casina”, baita usata per l’essiccazione delle castagne, davanti alla quale si trova, sul ciglio della mulattiera, la prima delle cinque cappellette (“gisöi”) che ritmano la salita a Somvalle, in corrispondenza di altrettante “pòse”, luoghi di sosta per chi saliva in valle con pesanti carichi sulle spalle ed ai piedi non comode scarpette da trekking, ma zoccole (“sciapèi”) di legno.
Dopo un primo tratto verso sud-ovest, la mulattiera piega a sinistra, procedendo verso est. Il fondo è largo e buono, ed alterna tratti lastricati a tratti scavati nella roccia o con fondo in terra battuta. Raggiungiamo uno dei tratti più suggestivi del percorso: poco prima di addentrarsi nella valle, la mulattiera, protetta da un muretto sulla sinistra, regala, complice il diradarsi del bosco, un ottimo colpo d’occhio sulla piana della Selvetta, sull’abitato della Sirta, raccolto intorno all’inconfondibile cupolone, e sul severo salto roccioso che lo domina ad est, la Caurga. Si tratta del punto panoramico denominato “bàach”. Segue un tratto in breve discesa, nel quale la mulattiera volge gradualmente a destra. Si chiudono, alle nostre spalle, gli scenari della valle dell’Adda e si aprono quelli ben più cupi della Val Fabiòlo, la valle delle ombre, delle magie, delle inquietudini, degli spiriti.
La mulattiera prosegue con la sua pacata flemma, iniziando a salire, con tratto scalinato, in direzione della seconda “pòsa”, quella del “gisöl d’inèm la val”, cioè della cappelletta nel fondo della valle. Il sentiero passa a destra di un grande masso, caduto qui da chissà dove con un santino che è quasi pudicamente abbarbicato alla sua parete e che parla dell’antichissimo timore delle genti di montagna nei confronti delle scariche che dai pendii, improvvise e violente, potevano seminare morte fra animali e uomini. Qui troviamo il ponticello che porta al sentiero per Lavisòlo, il quale, correndo sullo scosceso versante opposto, si riaffaccia sul versante valtellinese e porta alla bella piana dove sorge l’antico nucleo, a monte di Sirta. Calchiamo ancora gli antichi ciottoli e, superata una ripida salita, raggiungiamo una brevissima sequenza di tornantini dx-sx. la valle comincia ad aprirsi un po’, più avanti vediamo una baita sui prati della località Bures.
Ancora un tratto in leggera salita, ed eccoci in presenza del “pùnt de li curnàsci”, che permette di passare sul lato opposto della valle (il suo nome si riferisce ai picchi rocciosi, “corne”, che incombono sopra il nostro capo). Continuiamo per un discreto tratto sulla sponda opposta quindi, intervallando il passo ai saltelli necessari per attraversare alcuni rigagnoli che, impavidi, sfidano i tentativi umani che nei secoli hanno preteso di incanalarli al di sotto della sede del sentiero. Siamo ormai in vista dei prati della località Bùres. La valle si è aperta e, sul lato opposto, vediamo i prati e le baite della frazione un tempo sosta obbligata per la transumanza. Servendoci del ponte e senza percorrere il vecchi sentiero in disuso, approdiamo ad un prato e, dopo breve risalita e deviazione a destra, eccoci alla cappelletta dei Bùres, la terza sosta (m. 650, ad un’ora circa dalla Sirta), nella quale è rappresentata una Madonna con Bambino.
Proprio dietro la cappelletta riprendiamo, seguendo i cartelli, la via principale, oltrepassando i prati di Bures. Procediamo stando sulla destra del fiume e ritroviamo dopo poco, sulla destra, la partenza di un altro sentiero che ignoriamo. Il sentiero prosegue dritto e si avvicina al fianco della montagna fino ad affrontare la doppia svolta, a sinistra, prima, poi a destra, alla stretta che segna una sorta di cesura a forma di “S” fra la media e l’alta valle. Di nuovo, sull’uno e sull’altro lato, scure e ripugnanti pareti guardano quasi ostili il viandante. L’atmosfera cupa è ingentilita da qualche pino e da un bello scorcio che si apre alle nostre spalle: vediamo, sulla sinistra, i prati ed il nucleo di Sostìla, abbarbicato, con le frazioni dell’Arèt, più a destra, e dell’Era, poco sopra l’Arèt, al versante della valle. Passiamo a ridosso di un salto roccioso, prima di incontrare un tratto ben ombreggiato della mulattiera, che accenna ad una curva a sinistra, poi a destra. Ci siamo alzati rispetto al torrente, e la sua voce ci raggiunge molto attenuata. Ci affacciamo alla parte alta della valle, e siamo al bellissimo ponte a schiena d’asino, con muretti in sasso, detto “puut de la palanga”. La valle torna ad aprirsi, vediamo le briglie in cemento costruite nell’alveo del Fabiolo dopo l’alluvione del luglio 1987. Passiamo sul ponte alla parte sinistra (sempre per noi) della valle. Pieghiamo leggermente a sinistra, proseguendo nella cornice ingentilita dalla presenza di saggi pini; alla nostra destra, l’impressionante colata di massi che si è insediata nel centro della valle, conferendole un aspetto desolato. Nella salita, graduale e senza strappi, vediamo un grande masso a ridosso della mulattiera, alla sua destra, nel punto in cui questa piega un po’ a destra; una ventina di metri prima abbiamo incontrato la palina indicante la partenza di un sentiero che sale a tagliare un corpo franoso e raggiunge la frazione della Motta (Mùta) e la superiore località di Pra’ Pamusìi, dove si trova la mitica Casa Rotonda (Ca’ Redùnda), costruita come torretta cilindrica da Giuseppe Tocalli, stanco di vedere tutti gli edifici squadrati. Da qui non vediamo nulla di tutto ciò, ma possiamo lasciar correre l’immaginazione.
Poco dopo usciamo dalla vegetazione; sono i prati più bassi della frazione Sponda. Il sentiero si arrampica sul nuovo argine puntando e passando vicino ad una baita (riporta il numero civico 77): di fronte alla baita da sinistra la mulattiera continua, procedendo verso destra (segnavia rosso-bianco-rosso), salendo in una selva, con un tornante a sinistra ed uno a destra. Raggiungiamo ben preso un bivio: la mulattiera scende verso destra ad una briglia in cemento; noi seguiamo il sentierino di sinistra, che, con breve salita, ci porta ai prati di Sponda (Spùnda, m. 909), gruppo di baite e stalle che deve il suo nome all’arrotondato versante che lo sovrasta ad est.
Alla Sponda troviamo la quarta e penultima “pòsa”, con il “gisöl” nel quale è raffigurata una Madonna con Bambino. La cappelletta confina con la mulattiera, che sale da destra, e che seguiamo ancora. La meta è ormai ben visibile, in alto: si tratta della sella erbosa alla sommità della Valle, che introduce alla Val Tartano. Guardando alle nostre spalle, invece, vediamo bene, sulla destra, Pra Pamusìi, la Mùta ed il selvaggio versante tagliato dal sentiero della Rusanìda. Lasciamo alla nostra sinistra le baite della Sponda e riprendiamo a salire: qui la mulattiera procede, quasi diritta, fra due muretti a secco. Il fondo è però molto sporco, ed avere le gambe coperte non guasta affatto. Poi terminano i muretti: ritroviamo il comodo selciato e procediamo a monte dei prati della Sponda. Appena prima di lasciare i prati, sulla sinistra, lo zapèl (apertura) nel muretto che delimita la parte alta dei prati a monte della Sponda; alla sua destra (est) ci raggiunge, in leggera salita, il sentiero della Rusanìda, per la verità poco visibile, perché abbastanza sporco (corre per un buon tratto immediatamente a destra del muretto a secco che delimita ad est i prati).
Percorriamo, dunque, il sentiero che costeggia il fiume; il fondo è qui davvero buono, riposante: inanelliamo una serie regolare di tornanti dx-sx-dx-sx, prima di raggiungere il fondo della costa finale: la Riva. Ci aspetta ora l'ultimo punto faticoso: guadiamo il torrente e manteniamoci sul sentiero senza seguire la nuova pista di manutenzione. Intercettiamo la mulattiera, che ora procede, verso destra, fino al suo termine (ad un bivio prendiamo a destra). Qui, dopo circa due ore e mezza di cammino (il dislivello è di circa 790 metri), troviamo l’ultima cappelletta, il “Gisöl dul zapèl de val”, cioè la cappelletta dell'intaglio (sella) che introduce alla valle, con una quarta raffigurazione di Madonna con Bambino, fra San Rocco e San Giuseppe. È qui che la valle finisce, quasi si spegne, dolcemente, naturalmente, mentre si apre il ben più ampio ed aperto scenario della Val di Tartano e, alle spalle, il gruppo del Masino fa bella mostra di sé (mostrando, da sinistra, i pizzi Badile e Cengalo, i pizzi del Ferro, la cima di Zocca, le cime di Arcanzo, degli Alli e di Vicima, il monte Pioda, i Corni Bruciati).
Alla nostra sinistra, Somvalle (m. 1062), la frazione di Forcola dei “lütèer”, o “pòok timùur de Dìu”, luterani o poco timorati di Dio, come vennero chiamati i suoi abitanti dalla seconda metà del Cinquecento per la presenza di alcuni contadini che avevano lasciato la fede cattolica per abbracciare quella riformata; alla nostra destra Ca’, anch’essa frazione di Forcola, abitata dai “pietàa” o “lütèer”, cioè dai pietosi o luterani (evidentemente qui due immagini contrastanti si sono contese il campo). Poco sotto, Campo Tartano. Davanti, il profondo solco centrale della Val Tartano, scavato dal torrente Tartano. Fino all’ultima glaciazione esso scorreva proprio in Val Fabiolo, raggiungendo il piano alla forra della Sirta. Poi aveva lasciato il campo al più mite torrente Fabiolo. Ma come non si può mai presumere di conoscere fino in fondo il carattere di un uomo, la stessa cosa si deve dire del carattere di un torrente.
Adattamento da www.paesidivaltellina.it